L’impegno e la responsabilità dell’estetica (Parte 2)

In questi giorni molti confronti e scontri si sono concentrati sull’estrema importanza (se non supremazia) che secondo Ciop&kaf possiede l’estetica delle immagini proposte da chi dipinge i muri di centri storici e città, di chi con colori e linee cerca di dare forma a particolari ossessioni personali che poi però inevitabilmente si mostrano nello spazio pubblico. È importante che non siano di “facile digestione” , che non ci si arrenda a ipocrite logiche consolatorie. “Ci si deve fare un po’ male a guardarle…”

Le immagini fin troppo inflazionate, la proposta di qualcosa che gli occhi di chi osserva si aspetta di vedere, rischiano di rendere sterili intenti artistici più istintivi, veri, autentici anche se magari meno comprensibili e immediati. Questa suggestione ci ha spinto ad affinare la riflessione su quello che un po’ succede nella nostra città e altrove, dove capita di camminare in quartieri complessi in cui opere commissionate e non hanno più o meno intenzionalmente cercato di riportare attenzione e luce su luoghi dimenticati. E poi ci stiamo chiedendo se le opere di street art debbano o possano davvero avere un intento di riqualificazione…in fondo in questi quartieri dove abbiamo camminato a brillanti colori e disegni sui muri si affiancavano con forza vivida condizioni abitative e di vita difficili, al limite, al confine. E allora se l’arte deve essere solo consolatoria, calata (anzi disegnata) sui muri delle proprie case priva di un progetto attorno più strutturato che sia davvero in relazione con chi vive quei luoghi, rispettandone anche la dignità e condizioni di vita, tutto rischia di diventare un parco giochi dell’arte di strada, forse un po’ inutile, sicuramente poco etico.

E anche se sull’utilità del dipingere in strada Ciop&kaf non lasciano spazio a dubbi affermando che di fatto tutto questo non serve, il loro lavoro non serve, o almeno non ha la funzione e la pretesa di produrre effetti sociali, se non la sola capacità di veicolare in forme e colori la profonda inquietudine e ossessione personale, noi crediamo che le azioni individuali e artistiche di questo tipo non possano non avere effetti sociali. Forse le immagini non avranno la forza di migliorare la vita di chi vive centri storici difficili come Napoli, Taranto e Palermo (sarebbe sbagliato pretenderlo) ma crediamo che progetti artistici compiuti come quelli di Ciop&kaf, continuativi e di autentica empatia con gli abitanti e gli spazi urbani abbiano la capacità di sprigionare energie sociali costruttive, di autoriflessione sulla propria condizione, e che questi effetti ineluttabili superino e siano fuori dal controllo delle intenzioni di un collettivo di artisti che non ha la pretesa di cambiare il mondo, ma forse proprio per questo, potrebbe riuscirci.

Diario di viaggio #2 La città implicita

Per tornare a raccontare dei miei giorni brasiliani mi concedo e vi propongo questo gioco, forse un po’ nostalgico, ma così è. Tutto parte da una citazione tratta da “Le città invisibili” di Calvino. “Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. per distinguere le qualità delle altre devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia.” L’ho ritrovata leggendo l’introduzione di “City of walls”. L’autrice, l’antropologa Teresa Caldeira,  la usa per spiegare l’attitudine con la quale ha affrontato il suo lavoro di ricerca su crimine e segregazione spaziale a San Paolo. Mi ci sono ritrovata molto, perché gironzolando qua e la, per caso o per lavoro, mi sono ritrovata di fronte a dei luoghi che inevitabilmente mi hanno ricordato la “mia città implicita”, Palermo. Alcuni per somiglianza, altri per differenza. Si tratta di luoghi a cui per motivi diversi sono particolarmente affezionata. Ve ne propongo qualcuno con cui ho trovato analogie. Se vi va, prima di scorrere velocemente la pagina, provate ad indovinare di che posto si tratta (e aiutatemi a capire se c’è effettivamente una somiglianza o semplicemente sono lontana da casa da troppo tempo).  Ecco il primo. come ponte dell'ammiraglio Si tratta del Ponte de Piedra, situato su uno spiazzo verde che prende il nome di Parco dos Açorianos, giusto di fronte al palazzo in cui abito. Quando l’ho visto ho pensato subito al Ponte dell’Ammiraglio. Entrambi, anche se in periodi storici diversi, costituivano il punto d’accesso al cuore pulsante della città. Adesso che hanno perso la loro funzione sembrano inseriti un po’ a casaccio nel paesaggio urbano, circondati da pezzetti di verde poco curati che a stento si possono riconoscere come piazze. Mi affascinano proprio perché nonostante il loro aspetto dimesso sono timidi ricordi di periodi storici di maggiore fasto. Passiamo al secondo.

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Si tratta di un quartiere, Ipanema. Ipanema è situato lungo una delle parti più belle della laguna di Porto Alegre. Lungo la strada che la costeggia da una parte c’è il lago, dall’altra una schiera di villette appartenenti a residenti di classe medio-alta. Il largo marciapiede a monte della spiaggia nel fine settimana diventa il passeggio non solo dei ricchi borghesi ma anche e soprattutto delle classi più popolari. Oltre alle vasche da un capo all’altro del viale, è usanza consolidata da parte dei “portoallegrensi” godersi il tramonto sulla spiaggia, armati di siede a sdraio, cibare varie e mate da sorseggiare. Insomma Ipanema è un po’ la Mondello di Porto Alegre. Il terzo posto l’ho incontrato invece durante la recente trasferta a Curitiba.

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Praça do bolso do Ciclista, uno dei primi posti che ho conosciuto in questa città. La piazza era prima terreno brullo appartenente al comune. Un gruppo di cicloattivisti (che ha messo su una ciclofficina proprio lì di fronte) ha deciso un giorno di prendersene cura. Col sostegno del comune hanno così sistemato la pavimentazione e installato delle rastrelliere per le bici. Alcuni artisti di strada hanno poi lavorato sui 2 muri che delimitano la piazza, rendendola ancora più bella. La piazza adesso ospita banchetti di quartiere e altre piccole iniziative. Che cosa sarebbe diventata piazza Mediterraneo a Ballarò con un po’ di sostegno in più da parte del Comune di Palermo? In quest’ultimo caso la somiglianza è stata comprovata. Quando ho mostrato ai ragazzi della Bicicletaria Cultural le foto di piazza Mediterraneo sono rimasti stupiti dalle somiglianze nell’aspetto e nelle pratiche di riqualificazione.

Street Art nel quartiere ZEN di Palermo

Lo scorso giovedì 20 abbiamo vissuto una giornata magica! Sguardi Urbani ha accompagnato e assistito alla realizzazione di altri due murales nel quartiere San Filippo Neri,  ZEN di Palermo. Durante una lunga giornata tre artisti hanno fatto le loro creazioni dentro uno dei padiglioni del quartiere ZEN, quello giusto accanto al “Giardino della Civiltà” comunemente chiamato “U’ montaruozzo”. Luogo che accumula diverse condizioni di degrado ambientale: è una discarica a cielo aperto. Ed è stato proprio lì, nel padiglione accanto, dove abbiamo deciso di rendere i padiglioni un luogo più bello. Eravamo due donne e due uomini. Noi donne siamo andate a parlare con le mamme del quartiere, che già mi conoscevano dato il lavoro di campo che ho svolto nel quartiere negli ultimi anni. Quindi essendo una persona conosciuta, non è stato difficile presentare Julieta, l’artista che mi accompagnava. Gli abbiamo proposto di fare un murales, e loro ci hanno offerto tutte le pareti che avevano a disposizione. “Fai qualcosa di bello! Al meno così quando esco di casa si vede una cosa bella, non sempre il muro brutto” ci ha detto una delle donne. DSCF9704 Poiché era giovedì mattina, pensavamo che i bambini sarebbero stati a scuola, ma giusto giusto la scuola era chiusa e noi li abbiamo messi a lavorare! “almeno così si divertono” ha detto una mamma. Julieta  ha fatto vedere ai bambini un suo quaderno con i disegni, per farli scegliere a loro. Si è deciso di fare una volpe, ed eccola a lavorare! Velocemente sul muro, e con una abilità incredibile, Julieta ha disegnato i contorni della volpe. Poi però sono stati i bambini a riempire e colorare le forme. DSCF9713 I fiori di Julietta non bastavano e i bambini hanno voluto aggiungere altre figure fatte da loro stessi: cuori, un sole, e ancora più fiori! Julieta l’ha finito e fatto i contorni. Loro erano felicissimi!  “è bellissimo!” dicevano.

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Nel frattempo il Collettivo FX e Nemo’s hanno accettato le richieste maschili. Un “BobMarley” gigante! Gli hanno offerto una grande parete e loro hanno cominciato…

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In pochi muniti si è passato da una parete vuota, al viso di Bob Marley! Eccolo!

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Con una abilità ammirevole nel maneggiare le aste (ho imparato che si chiamavano così!) velocemente sto ‘bobmaley’ ha presso forma. Tutti a guardare agli artisti! Di nuovo venivano da altri padiglioni ad osservare agli artisti. DSCF9764 E uno dei residenti, chi ci aveva messo a disposizione la parete mi fa vedere che il disegno si vede da lontano, che si distingue bene e mi dice: “ma chi se lo può permettere? e io ce l’ho!” mi dice fierissimo.

 

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Grazie infinite di nuovo al Collettivo FX, a Nemo’s e a Julieta per offrirci la vostra arte!

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Street Art a Valparaiso per riqualificare un quartiere

A SgUarDi Urbani è da tempo che riflettiamo sul ruolo che può svolgere la Street Art come strumento di cambiamento sociale.

A gennaio 2014 abbiamo visitato il quartiere Molino-Polanco a Valparaiso che è stato rivalorizzato attraverso i murales dipinti sulle case del quartiere. In questo caso sono state le organizzazioni comunitarie finanziate dalle istituzionali locali e governative a portare avanti un progetto di riqualificazione del quartiere degradato, avendo come obiettivo la valorizzazione dei palazzi con alto valore storico e patrimoniale. L’intervento è iniziato con la pulizia di alcune aree e scale (quebradas) che erano diventate discariche ed è proseguito con la risistemazione delle strade. Il tutto è culminato con un evento che ha accolto noti Street artist di tutta l’America latina. Il risultato ha reso gli abitanti felici e fieri di abitare nei “cerros Molino e Polanco”. Chi prima si vergognava di abitare in questa zona degradata, oggi si vanta di quello che il quartiere è diventato.

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Murales nel cerro Molino. Fonte: Elizabeth Zenteno Torres

Uno dei possibili rischi che azioni di riqualificazione urbana di questo tipo comportano è quello della gentrification. Per gentrification s’intende l’espulsione delle classi popolari dalle zone che una volta riqualificate vedono il valore degli immobili aumentare e per questo non possono più permettersi di vivere dove hanno sempre vissuto. Ci riproponiamo di discuterne più approfonditamente in un ulteriore post, nel frattempo vi mostriamo il caso del quartiere Molino-Polanco. Sicuramente tra alcuni anni sapremo se l’intervento ha avuto effetti “gentrificatori” o meno.

Nel progetto la Ponticia Universidad Catolica de Valparaiso ha avuto un ruolo molto attivo. Su questo sito si possono trovare alcuni documenti interessanti del progetto.

Fonte: Elizabeth Zenteno Torres
Murales nel cerro Molino. Fonte: Elizabeth Zenteno Torres