Sguardi Urbani aderisce al Laboratorio Cittadino “Palermo Educativa”

La nostra associazione aderisce al  Protocollo d’Intesa col Comune di Palermo Area della Scuola e Realtà dell’Infanzia  nell’ambito del Laboratorio Cittadino “Palermo Educativa” per elaborare e promuovere percorsi innovativi, monitorare lo sviluppo del progetto e per la costruzione di un’apposita “Banca Dati” per la mappatura dell’esistente nel territorio della città, con particolare attenzione alla fattibilità dei progetti e delle iniziative attuate.Il progetto, che vuole definire questa idea di cambiamento, rappresenta l’esito di un dibattito democratico e di comunità tra la governance costituita dal Comitato scientifico ed il mondo profit e non profit, le istituzioni, i privati cittadini.

La nostra associazione coerentemente alle attività e mission proposte siede al tavolo tematico Arte, Cultura e Turismo durante il quale nel corso degli ultimi mesi durante riunioni e incontri si sono condivise priorità e stimoli per la preparazione del Festival della Città Educativa  rivolto a bambini e a adolescenti delle scuole coinvolte nel progetto.

Grazie all’adesione a questo Protocollo, Sguardi Urbani partecipa al Festival della Città Educativa e al tempo d’estate con un’attività  prevista il 4 luglio rivolta a bambini tra gli 8 e i 10 anni e che prevederà una caccia al tesoro  in centro storico sui principali monumenti e attrazioni abbinata ad un’esperienza di esplorazione urbana.

 

Per più informazioni: http://www.palermoeducativa.it/

Antichi mestieri con lo sguardo al futuro

Lo scorso sabato Sguardi Urbani ha proposto una passeggiata per il centro storico della città alla scoperta dei tanti artigiani che, in botteghe storiche o in nuovi laboratori, fanno rivivere un patrimonio di saperi e maestrie  che  da sempre rendono Palermo una fucina di idee trasformate in buone pratiche. E’ già da un anno che, tra i nostri temi e interessi, poniamo attenzione  agli antichi mestieri, ed in generale al patrimonio immateriale locale, alimentato vivacemente dalla sapienza e maestria dei lavori manuali.  Le nostre  riflessioni  su  questo argomento si muovono dal lavoro appassionato di Silvia Messina e Chiara Utro, due amiche di Sguardi, nonché guide turistiche poste a conduzione dei nostri tour in bicicletta, che cercano di costruire itinerari di conoscenza, tra cui questo,  sempre nuovi ed originali da presentare ai cittadini e ai viaggiatori curiosi e attenti. Proprio dalla condivisione di intenti e interessi nasce la nostra voglia  di promuovere il loro tour e di collaborare per arricchirlo.

Ci sembra importante condividere alcune riflessioni, scaturite dai diversi appuntamenti di questo tour  proposti ai cittadini, ed in primo luogo concentrate sulla ricchezza di narrazioni individuali e di imprese collettive che stanno dietro ogni bottega artigiana. Conoscere il saper fare ha sempre coinciso con il conoscere la biografia di chi in quel progetto ha creduto tra mille difficoltà passate ed attuali e che rendono ancora più straordinaria la resistenza degli artigiani alle logiche commerciali di larga scala. L’unicità e l’esclusività a portata di tutti rappresentano  il valore unico e aggiunto al prodotto artigiano che fa di chi lo possiede il detentore di un piccolo grande tesoro.

E’ secondo noi  sulle storie individuali e sulle volontà di perseguire queste attività malgrado le difficoltà oggettive, che diventa importante concentrarsi, individuando possibili soluzioni o azioni che diano sostegno e difesa a questi avamposti e frontiere di unicità che rendono il centro storico di Palermo un luogo un po’ speciale, con lo sguardo rivolto al passato ma al contempo proteso al futuro. Come salvaguardare tutto questo e  come trasformarlo senza minarne l’autenticità sono interrogativi che ci poniamo e su cui avremmo voglia di confrontarci con  chi, come noi, ha voglia di ragionare sui modi per aumentare il grado di attrattività di questa città  (di investimenti, interessi, strategie di sviluppo di lungo periodo).  Senza  però metterne a repentaglio l’identità autentica, piuttosto considerandola un bagaglio prezioso attorno a cui  costruire gli orientamenti  di domani,  partendo però già da oggi.

Street art lab a Salemi!

Cosa ci piace tanto della street art? Che ci permette di entrare nel vivo dei luoghi, di scoprirli senza filtri, soprattutto entrando in relazione con le persone del posto. Anche a Salemi, in occasione del laboratorio di street art che abbiamo condotto con Collettivo Fx, Julieta Xfl e Nemo’s per l’Assessorato alla cultura è stato così.

Spesso rapite dalla grande città difficilmente ci spostiamo alla scoperta di posti nuovi, magari piccoli e meni noti. Di Salemi conoscevamo poco o niente, se non le vicende del terremoto del ’68  che la accomunano ad altri piccoli comuni della Valle del Belice come Gibellina, Poggioreale… Non siamo diventate molto più esperte (per quello speriamo di tornare presto!) ma sicuramente abbiamo conosciuto uno spaccato della vita sociale della città e delle sfide che gli amministratori di un piccolo comune si ritrovano ad affrontare. La settimana ha visto il Collettivo Fx, Julieta Xfl e Nemo’s impegnati in un laboratorio di street art che ha coinvolto i bambini delle case popolari del centro nuovo e alcuni ragazzi della comunità alloggio per minori. Difficile lavorare contemporaneamente con bambini così diversi per provenienza ed età. I giorni sono comunque passati veloci tra l’entusiasmo di grandi e piccoli e l’impegno di tutti. Dall’interno del Centro Kim si è presto passati a “pittare” la grande fontana in cemento (mai completata) che si trova appena sotto piazza padre Pio. In pochi giorni è stata invasa da un’onda di colore!

Vi consigliamo di andare a vedere il risultato finale…e uscire anche voi dalla grande città verso la campagna della valle del Belice!

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L’impegno e la responsabilità dell’estetica (Parte 2)

In questi giorni molti confronti e scontri si sono concentrati sull’estrema importanza (se non supremazia) che secondo Ciop&kaf possiede l’estetica delle immagini proposte da chi dipinge i muri di centri storici e città, di chi con colori e linee cerca di dare forma a particolari ossessioni personali che poi però inevitabilmente si mostrano nello spazio pubblico. È importante che non siano di “facile digestione” , che non ci si arrenda a ipocrite logiche consolatorie. “Ci si deve fare un po’ male a guardarle…”

Le immagini fin troppo inflazionate, la proposta di qualcosa che gli occhi di chi osserva si aspetta di vedere, rischiano di rendere sterili intenti artistici più istintivi, veri, autentici anche se magari meno comprensibili e immediati. Questa suggestione ci ha spinto ad affinare la riflessione su quello che un po’ succede nella nostra città e altrove, dove capita di camminare in quartieri complessi in cui opere commissionate e non hanno più o meno intenzionalmente cercato di riportare attenzione e luce su luoghi dimenticati. E poi ci stiamo chiedendo se le opere di street art debbano o possano davvero avere un intento di riqualificazione…in fondo in questi quartieri dove abbiamo camminato a brillanti colori e disegni sui muri si affiancavano con forza vivida condizioni abitative e di vita difficili, al limite, al confine. E allora se l’arte deve essere solo consolatoria, calata (anzi disegnata) sui muri delle proprie case priva di un progetto attorno più strutturato che sia davvero in relazione con chi vive quei luoghi, rispettandone anche la dignità e condizioni di vita, tutto rischia di diventare un parco giochi dell’arte di strada, forse un po’ inutile, sicuramente poco etico.

E anche se sull’utilità del dipingere in strada Ciop&kaf non lasciano spazio a dubbi affermando che di fatto tutto questo non serve, il loro lavoro non serve, o almeno non ha la funzione e la pretesa di produrre effetti sociali, se non la sola capacità di veicolare in forme e colori la profonda inquietudine e ossessione personale, noi crediamo che le azioni individuali e artistiche di questo tipo non possano non avere effetti sociali. Forse le immagini non avranno la forza di migliorare la vita di chi vive centri storici difficili come Napoli, Taranto e Palermo (sarebbe sbagliato pretenderlo) ma crediamo che progetti artistici compiuti come quelli di Ciop&kaf, continuativi e di autentica empatia con gli abitanti e gli spazi urbani abbiano la capacità di sprigionare energie sociali costruttive, di autoriflessione sulla propria condizione, e che questi effetti ineluttabili superino e siano fuori dal controllo delle intenzioni di un collettivo di artisti che non ha la pretesa di cambiare il mondo, ma forse proprio per questo, potrebbe riuscirci.

Mappe, percorsi, attraversamenti: Cyop&Kaf a Palermo, partendo da Napoli e passando per Taranto. (Parte 1)

Giorni intensi questi ultimi a Palermo in compagnia di Cyop&Kaf. Innanzitutto perché grazie al collettivo abbiamo conosciuto la bella realtà di Le Sciaje di Taranto, con cui abbiamo trovato tanti punti in comune nei modi di proporre e fare vivere la propria città a persone che vengono da fuori.

Poi, il confronto che tanto avevamo cercato c’è stato. Non solo durante la proiezione de “Il segreto” e della presentazione di “Taranto. Un anno in città vecchia” ma anche nel corso di due giorni di chiacchiere, a volte anche accese e taglienti, pasti condivisi e percorsi guidati (emotivi più che fisici) attraverso la città. Silenzi.

Cyop&Kaf (chi lo conosce un minimo lo sa) vuole rimanere al di fuori di etichette preconfezionate, spesso spiattellate con troppa facilità a destra e sinistra. Nel tempo trascorso insieme parole come “street art” e “riqualificazione” hanno quasi costituito dei tabù capaci di agitare gli animi. Per questo confrontarsi su quello che succede in città in questo momento non è stato facile. Eppure ne sentivamo il bisogno. Per il caso e l’entusiasmo con cui ci siamo avvicinate a questi temi, per la bellezza delle relazioni che si sono create, per i progetti che stiamo portando avanti, per il nostro intento fondamentale e sempre presente di osservare e conoscere la città.

Alla fine la magia dello scambio è avvenuta. E possiamo dire di averli salutati al porto (altra piccola magia la nave!) con qualche consapevolezza in più rispetto al loro lavoro e al modo in cui vogliamo portare avanti il nostro.

Ve ne proponiamo qualcuna.

[La potenza del dipingere sui muri della città]

E’ questa un’ipotesi, una pista che inseguiamo da un po’. E’ a partire da questa idea che abbiamo cominciato ad interessarci al dipingere in strada. In questo ci siamo trovati abbastanza d’accordo con Cyop&Kaf. Ma per loro non si tratta di lavoro umanitario, bensì di un’ossessione, che nasce da esigenze del tutto intime e personali oltre che da ricerca artistica. La potenza del segno lasciato sul muro vuole però che succeda sempre qualcosa, che si inciampi in situazioni e persone, scambi e scoperte. Fa parte del gioco. Tutto ciò però nasce non da volontà, ma da pura casualità. In parti di città dominate dal caos e dall’informalità, come i quartieri popolari dei centri storici, è irrealistico pensare di potere apportare un qualche cambiamento progettato e pianificato. Del resto anche i più recenti studi di urbanistica se ne sono resi conto da un po’. Volendo spingere all’estremo il ragionamento non solo è difficile pensare di realizzare in maniera efficace un qualsiasi intervento ma è persino complicato capire “cosa” fare per migliorare certe situazioni. Forse sarebbe necessario un atto di umiltà, fare un passo indietro rispetto all’idea di dovere prendere una posizione rispetto a cosa è meglio o peggio per un determinato luogo. Più onesto è abbandonarsi alla vita (o assenza di vita) di questi luoghi, alla loro profonda bellezza e al contempo durezza. O al massimo si può provare a raccontarli. Facendo grande attenzione però a non tradirli, con visioni stereotipate e abusate.

[L’importanza del racconto]

La cura del racconto è di certo una nuova consapevolezza di cui vogliamo fare tesoro. Non solo il contenuto, ma anche la forma in cui l’esperienza viene restituita ha la sua importanza. Questo perché inciampare in pezzi di città non vuol dire attraversarli in maniera sterile. Non un biglietto gratta e vinci che ti dà emozione nel momento in cui lo gratti e che subito dopo dimentichi. Piuttosto un’esperienza personale, frutto di una relazione intima che si stabilisce coi luoghi e le persone. Si tratta di piccoli “segreti” che di volta in volta si rivelano. Raccontarli male vuol dire tradirli e svilirli. Un po’ di pudore è quello che forse manca spesso nella restituzione di esperienze, azioni, osservazioni all’interno della città. I silenzi e le mancate risposte nei giorni trascorsi con Cyop&Kaf sono quelli che più di tutti ci hanno comunicato la profondità delle esperienze vissute nei Quartieri Spagnoli o nella città vecchia di Taranto.

[La necessità di trovare un nuovo linguaggio]

Per quanto detto sopra diventa fondamentale trovare il giusto modo di raccontare le cose. Il linguaggio per l’appunto. Trovare un nuovo modo di definire o raccontare le esperienze. Liberarsi dalle etichette permette di aprirsi a nuovi modi di comprendere la realtà (del resto è proprio per questo che proponiamo sguardi sempre diversi). La ripetizione e diffusione incondizionata di certi termini crea inevitabilmente un velo opaco sulle cose e sui luoghi che finisce per non comunicare più niente. Libri, articoli e giornali sulle periferie che usano sempre le stesse parole “chiave”: disagio, bisogno, degrado. Parole talmente abusate che finiscono per non dire più nulla, se non comunicare un latente senso di fastidio. Ricordano che le stesse situazioni si tramandano da tempo immemore, senza che nulla sia veramente cambiato.  Succede quando si parla di periferie, ma è un fenomeno che si allarga facilmente ad altri campi (come l’arte, street art, urban art, etc. etc.).

Ovviamente tutto ciò lo si può provare a spiegare, ma molto meglio sarebbe cogliere l’invito a perdersi delle mappe della città vecchia di Taranto o dei Quartieri Spagnoli di Napoli disegnate dal collettivo. Ogni punto sulla mappa è un dipinto, un pretesto. Dunque un invito a vivere la propria personale esperienza della città, in parte condividendo quella di altri. Infine agire, piuttosto che perdersi in inutili chiacchiere.

Il nostro sguardo su riqualificazione delle periferie urbane e street art

Negli ultimi giorni a partire dal progetto “Big city life” avviato a Tor Marancia (Roma,) si è parlato tanto di riqualificazione urbana e street art, o meglio di come la street art possa contribuire a migliorare le condizioni di vita in aree periferiche. In particolare, a visioni entusiastiche si sono contrapposte le critiche di chi vede in questi interventi una strategia di marketing adottata dalle amministrazioni per fare finta di risolvere il problema. Per noi di Sguardi urbani quello delle periferie è un tema importante, sia per le attività di ricerca che abbiamo svolto su di esse, sia per le persone e progetti che abbiamo seguito ultimamente (date un’occhiata ai post precedenti). Sentiamo quindi di dare il nostro contributo a questo acceso dibattito. Andiamo per ordine.

1. Cosa intendiamo per periferia?

Periferia non vuol dire necessariamente “lontano dal centro”. Le aree periferiche possiamo trovarle anche in pieno centro città, basti pensare a Ballarò a Palermo, San Cristoforo a Catania o i quartieri Spagnoli a Napoli. Periferie sono piuttosto luoghi esclusi dai normali processi di sviluppo e di vita che investono il resto della città. Luoghi chiusi che si caratterizzano per dinamiche a sé stanti. Spesso costituiscono delle realtà estremamente complesse dove la marginalità è data dall’intreccio di dinamiche di tipo diverso (economico, sociale, infrastrutturale, politico) per cui è impossibile capire cosa determini cosa e quale sia la causa primaria di questo disagio. Tali caratteristiche hanno a nostro parere due principali implicazioni dal punto di vista di chi si avvicina ad una periferia: la prima è che per portare avanti un qualsiasi tipo di intervento bisogna conoscerla in maniera approfondita, la seconda (senza cui la prima non può verificarsi) è la possibilità di avere accesso a queste realtà. Dai racconti di operatori sul territorio, ma anche da esperienze fatte direttamente risulta chiaro come queste aree siano segnate da un complesso sistema di soglie e limiti, fisici e simbolici, per varcare i quali è indispensabile creare una relazione di fiducia. È per questo che le periferie vanno conosciute “dal di dentro”.

2. Come si riqualifica una periferia?

Bella domanda. Magari ci fosse una ricetta unica. Le periferie sono spesso caratterizzate da dinamiche che durano da così tanto tempo da essersi incancrenite e cronicizzate, al punto da impedire l’avvio di percorsi virtuosi di sviluppo. Risorse e processi di questi luoghi sono in qualche modo “bloccati”. Per questo le periferie sono spazi in cui le politiche (non la politica!) fanno fatica a intervenire e ad apportare una qualche forma di cambiamento.

In generale, le possibilità di risposta al problema della riqualificazione possono essere comunque variegate. Ad esempio il miglioramento delle condizioni abitative delle persone. Ma prendiamo il caso dello Zen 2: anche ammessa la perfetta manutenzione degli stabili risulterebbe comunque difficile pensare come gradevole l’esperienza di vivere all’interno di cubi di cemento assolutamente privi di relazione con l’esterno e per di più confinati in una sorta di ghetto circondato da grandi stradoni. Sembrerebbe forse più plausibile l’ipotesi di ricostruire il quartiere per intero. Oppure prendiamo Librino, dove il cattivo stato si manutenzione degli edifici è in qualche modo “voluto”. Nei palazzi delle zone “più calde” sono stati gli stessi residenti a togliere citofoni e ascensori, per rendere il più difficile possibile l’accesso ad estranei e continuare a portare avanti indisturbati le proprie attività (illegali). Sono esagerazioni ovviamente, che servono però a rendere l’idea della necessità di guardare ad ogni quartiere nella sua specificità e di intervenire guardando a più dimensioni contemporaneamente. Soprattutto guardando cosa succede quando sia in maniera spontanea che guidata dall’alto irrompono elementi di novità (progetti/mobilitazioni/interventi): che processi si attivano?e come interagiscono con gli abitanti e il territorio in generale?

3. E la street art?

La street art come qualsiasi altra forma d’intervento, va anche questa vista da vicino, nei processi che attiva e nelle relazioni che intesse con gli abitanti, le risorse e i problemi di un determinato quartiere. Dal nostro punto di vista può costituire uno strumento potentissimo. Nell’esprimere questo giudizio intendiamo rimanere fuori dal dibattito che oppone l’arte urbana (spesso commissionata) alla street art vera e propria. Più che le questioni etiche e di principio che possono muovere una forma di arte piuttosto che un’altra, ci interessano qua gli effetti che pratiche artistiche di diverso tipo possono avere su questi territori “difficili”. Pensiamo ai numerosi casi di gentrificazione che hanno riguardato le aree periferiche di alcune città dove consistenti interventi di street art (mi vengono in mente Valparaiso o Berlino, arte commissionata nel primo caso, spontanea nel secondo) ne hanno cambiato completamente il volto. In molti di questi casi gli effetti, almeno dal punto di vista di chi abitava originariamente questi luoghi, sono stati negativi a causa dell’innalzarsi improvviso dei prezzi degli affitti e del costo della vita. Ma resta comunque affascinante il potenziale di cambiamento di azioni artistiche che in apparenza effimere, se paragonate a grandi interventi di tipo più tradizionale (riguardanti le infrastrutture ad esempio) dimostrano un potenziale di trasformazione molto maggiore. Importante sarebbe a questo punto chiedersi se e come è possibile gestire questi processi di cambiamento in modo tale da andare a tutto vantaggio dei residenti.

Altro caso è quello di interventi artistici che riescono ad incidere su aspetti di tipo sociale più che su dinamiche economiche. Allargando un attimo il campo ci sembra interessante il caso della Porta della Bellezza a Librino. Un’esperienza, che per quanto al momento terminata (a scapito della possibilità di protrarne i benefici nel tempo) è però citata positivamente da moltissimi degli attori sul territorio come progetto meritevole per essere riuscito a rafforzare il senso d’identità e di appartenenza al quartiere di molti dei ragazzini coinvolti, nonché la capacità di collaborazione tra istituzioni e associazioni. L’idea di usare l’arte come forma di comunicazione e relazione con gli abitanti è dunque uno degli aspetti che ci sembra più interessanti quando parliamo di periferie e street art. In questo caso sono la capacità di riflessione critica e il coinvolgimento gli obiettivi realisticamente più raggiungibili. Almeno questa è la scommessa che si sta portando avanti con i laboratori di street art avviati coi bambini e gli adolescenti allo Zen 2.

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C’è infine un ultimo aspetto particolarmente importante a proposito del rapporto tra street art e riqualificazione delle periferie. Ed è forse quello che come Sguardi urbani ci coinvolge di più: la street art come forma di osservazione e conoscenza di un territorio. Laddove praticata in maniera del tutto informale, fare street art permette di accedere a realtà che difficilmente potrebbero essere avvicinate. Pur essendo “straniero” (primo problema da superare per chi si avvicina ad una periferia) “pittare” in un quartiere ti permette di entrare facilmente in relazione coi luoghi e le persone, conoscerne le storie e i desideri. Un po’ come raccontano (molto meglio di noi) Cyop&Kaf nel loro ultimo libro “Taranto. Un anno in città vecchia”:

“…L’attivazione ovvio, ma insieme all’osservazione: primo passo da compiere, quello che dà la gioia del mettersi in cammino e la consapevolezza dell’inciampo dietro l’angolo. Ora, un’inchiesta può avere le più svariate forme: narrativa, fotografica, può essere filmata. Il mio approccio è certo pittorico (ma qui troverete anche della storia orale, altrove appunti filmici) ma in contemporanea fisico, di prossimità. Quante volte è capitato che i più piccoli mi portassero per mano a scoprire nuovi possibili luoghi da dipingere? Quante storie mi vengono riversate addosso mentre sono intento a mutare pelle a un vicolo buio?” (per la versione integrale qui)

Approfitteremo della loro presenza a breve qui a Palermo per discutere di questo e di molte altre cose.

Ed ecco come è andata l’inaugurazione del nostro nuovo tour sugli antichi mestieri!

E alla fine ce l’abbiamo fatta! Sabato 21 febbraio abbiamo inaugurato il nostro nuovo tour urbano sugli Antichi Mestieri del centro storico di Palermo. Con Silvia Messina e Chiara Utro, le ideatrici del tour, abbiamo accompagnato i partecipanti (e nuovi soci di SgUarDi Urbani!) intrepidi e non curanti del freddo e della pioggia tra i vicoli del centro storico custodi di antiche botteghe e di nuove realtà imprenditoriali legate a mestieri artigianali.

IMG_5142Ci hanno accolto mani sapienti e sguardi attenti di artigiani dediti alle loro creazioni uniche i cui meticolosi metodi di lavorazione ancora oggi sfuggono alle logiche di larga scala, ai ristretti tempi di lavorazione  e alla  produzione industriale rendendo ogni manufatto prezioso, esclusivo e originale. Bottoni, cappelli, gioielli, oggetti sacri in argento, manufatti in pelle: gli artigiani del centro storico ci hanno aperto le porte dei loro universi creativi, svelandoci alcuni segreti e mostrandoci come ogni giorno con passione ideano e costruiscono le loro creazioni. IMG_5167 Un’esperienza di conoscenza che ci ha permesso di entrare in contatto con  tecniche di lavorazione manuali ma anche  e soprattutto  con donne e uomini e le loro passioni,  i loro vissuti e  i loro talenti che ripongono nel fare e nel sapere fare la trasmissione del sapere manuale attivando un importante potenziale di energie virtuose e di possibile rilancio economico della città. Il nuovo tour ci ha permesso ancora una volta di riflettere sul tema del tempo e della lentezza di cui tutti i manufatti sono custodi preziosi: “Il negozio storico è caratterizzato da una serie di elementi che ne attestano la storicità e il primo è sicuramente il tempo…le inalterate caratteristiche  merceologiche come espressione della tipicità del locale nel contesto culturale dei luoghi…. l’impatto sociale sul vissuto degli abitanti della città ” (da Negozi storici a Palermo- aut. Paola Guarino e Sebastiano Catalano- Ed Arti Grafiche Palermitane”. Il tour è disponibile su prenotazione sul sito  http://palermobybike.com/tour-in-bici/ e si potrà effettuare sia in bici sia a piedi.

Antichi e nuovi mestieri a Palermo: l’importanza di riprendere le tradizioni artigiane.

La struttura della città e gli antichi mestieri sono due cose che a Palermo vanno insieme: Via dei Materassai, dei calderai, degli argentieri . Camminando per Palermo ci si rende conto che alcune strade hanno preso forma insieme ad un mestiere che si svolge(va) in quella via. A Palermo “il piano urbano sembra una specie di pagine gialle” (Basile, 2006).  Le strade oltre a un nome, spesso indicano un mestiere.

Foto: Elizabeth Zenteno Torres
Ingresso Vucciria.

Da quella particolarità urbana, nasce l’interesse per conoscere in proffondità alcuni mestieri che fanno parte della storia sociale di Palermo, ne hanno contribuito oltre che al piano urbanistico, a creare dei rapporti sociali attorno. Infatti le attività artigianali favoriscono i rapporti diretti tra gli individui e creano legami sociali,  (come quello tra il committente e l’artigiano, tra il maestro e l’apprendista) che sono alla base della convivenza civile e pacifica di ogni comunità; artigiani quindi non come creatori di soli oggetti ma artigiani quali costruttori di legami sociali.

Inoltre con questo tour vogliamo valorizzare la produzione artigianale, conoscendo le procedure di ciascun mestiere che visiteremo; perché spesso quando compriamo non pensiamo al lavoro che c’è dietro ciascun oggetto.

Invece per produrre un oggetto è indispensabile pensare: il lavoro manuale è vera esperienza  conoscitiva della materia ma anche di se stessi. Per riuscire a realizzare anche un solo manufatto è necessario riuscire a immaginarlo, trovare il giusto modo di farlo per poi costruirlo materialmente con il lavoro della mano, custode di un’abilità spesso poco spiegabile, un “sapere tacito” frutto di un lavoro quotidiano e di un’ eredità spesso secolare.

L’artigianato non è quindi mero lavoro della mano ma coordinazione tra mente e corpo, è unione di mano e pensiero in cui l’uomo si misura sia con l’insieme che col dettaglio, dando così origine ad oggetti che vanno poi ad occupare spazio nell’ambiente reale e nell’immaginario delle persone, creando per questo un interazione tra l’artigiano, le comunità e lo spazio in cui opera.

Purtroppo nella società contemporanea la velocità di produzione acquista sempre piú valore, a scapito del lavoro artigiano: molti di questi mestieri sono spariti. Tuttavia tanti altri resistono ancora e nuovi ne nascono nonostante il diffondersi dei centri commerciali. Quindi conoscere gli antichi mestieri di Palermo significa rivalutare un pezzo di storia cittadina, che è scritta nelle strade che quotidianamente attraversiamo. È considerare l’artigiano come una fonte orale d’informazione della storia della città, valorizzando il loro lavoro integrale che ha un passato, ma anche un futuro.


Riflessioni in collaborazione con Rino Attanasio, l’Arte della Ceramica.

Diario di viaggio #3 Street art in a row!

Questo post è dedicato all’amico/collega Marco Mondino, che da un po’ mi chiede di mandargli foto dei “segni” artistici disseminati nelle città che vado visitando.

Eccovi quindi qualche galleria fotografica, insieme a un po’ di riflessioni (da neofita del genere!) che mi hanno accompagnato in questi giorni.

La prima cosa che mi è venuta in mente buttando uno sguardo qua e là è che l’arte urbana che ho incontrato qua in Brasile non ha quell’effetto di “frattura” (cit. Mondino) sul paesaggio urbano. I murales sembrano essere un linguaggio molto diffuso e usato per gli scopi più diversi. Non sempre veicolano significati di protesta o impegno civile ma possono essere usati per pubblicità di locali, o per diffondere la conoscenza di progetti o iniziative. Qua molto spesso l’arte urbana è commissionata (dal comune, da ong, da privati) per i motivi più disparati. Ecco qualche foto scattata in città.

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Cos’è dunque che provoca le “fratture” in città?

I Pixaçao! Qua sono diventati la mia grande passione. Mai sentito parlare? Si tratta di una forma di writing tipica del Brasile che usa uno stile ben definito ispirato alla grafica delle copertine heavy metal degli anni ’80. I pixaçao possono comparire ovunque in città ma il luogo dove si trovano più spesso sono le cime degli alti e grigi palazzi che popolano le città brasiliane. Tutta la sottocultura giovanile che orbita intorno a questo mondo si basa fondamentalmente sull’adrenalina della competizione (nel raggiungere il punto più alto e pericoloso) e sulla protesta contro l’esclusione sociale che opprime i ceti più poveri .

Passeggiando per le strade è impossibile non notarli e rimanerne colpiti. Aggressivi e chiaramente visibili suonano di sfida e avvertimento. Sfidano la logica imperante che domina i processi di urbanizzazione delle città brasiliane, per cui (il palazzo) alto è sicuro, alto è distante, e può allontanare il ricco dal povero. I pixadores (coloro che realizzano i pixaçao) sfidano l’altezza per ridare visibilità a problemi sociali che in maniera costante la società brasiliana cerca di nascondere “sotto il tappeto”. Per questo, nonostante spesso sfocino in atti vandalici, per me assumono lo stesso fascino che in maniera infantile e spassionata provo per gli eroi mascherati dei fumetti.

Proprio perché imprendibili e irraggiungibili in tutti i sensi le foto che ho scattato non riescono a fare vedere granché ma chi volesse approfondire può cliccare qui.

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Passiamo a Curitiba. La visita a Curitiba è stata costantemente accompagnata dal tema street art, anzi dall’arte in generale. Abbiamo conosciuto street artist (ma in questo c’è stato lo zampino del Collettivo Fx!), artisti visuali, scrittori, poeti, studiosi della street art. Sarà per questo che la street art di Curitiba mi è sembrata particolarmente bella. Il comune la incentiva un sacco, mette a disposizione materiali e finanziamenti per chiunque voglia realizzare iniziative di questo tipo. Paulo ad esempio sta per cominciare con i ragazzi di un quartiere degradato un lavoro di recupero della memoria attraverso la street art  (speriamo di riuscire a portare la sua esperienza dalle nostre parti…). Oltre che vedere bella street art, a Curitiba ho cominciato a riflettere sui suoi effetti sulle dinamiche di sviluppo della città. Con i ragazzi della Bicicletaria Cultural abbiamo a lungo parlato del processo di riqualificazione dal basso che ha riguardato la Praça do bolso do ciclista e la via a lato, Rua Sao Francisco (situate in pieno centro). Le iniziative di recupero della ciclofficina, insieme al lavoro di molti street artist, hanno migliorato notevolmente l’estetica e la qualità della vita dell’area, ora sede di numerosi locali per giovani. Alcuni hanno paura però che a breve il costo degli appartamenti salirà enormemente, provocando processi di gentrificazione (nuovi residenti di ceti medio alti che sostituiscono quelli più poveri). E’ un tema piuttosto controverso, che vorrei approfondire in futuro. Pensare che l’arte possa generare un impatto negativo sulla città mi sembra un’idea inaccettabile. Una soluzione deve pur esserci. Ecco qualche foto (purtroppo mi sono accorta che alcune sono andate perse…)

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A Curitiba tra i vari incontri fondamentale è stato quello con Angelo. Angelo è un professore dell’UFPR (Università federal do Paranà) che ha deciso di conciliare le sue varie passioni diventando fotografo e allo stesso tempo studioso della street art. Tra i vari libri che ci ha regalato ho trovato risposta a una domanda che mi accompagna da quando ho cominciato a interessarmi di street art. Com’è che da inesistenti i murales ad un certo punto sono diventati uno miei punti di osservazione privilegiati della città? In “espelho da cidade” Angelo spiega che la città è fatta di mille linguaggi sovrapposti. Per poterli leggere deve accadere qualcosa (una “frattura” per riprendere non a caso una parola già citata) che li isoli e ce ne faccia leggere il significato. E’ in questo modo che la street art può aprire porte e finestre verso un modo di vedere e immaginare le cose a cui non siamo più abituati.

Infine Buenos Aires (poi mancherà un’ultima tappa dove non sono ancora stata). Qua tutto quello che ho incontrato, in maniera meditata e non, è stato merito di Anna! Bello passare del tempo insieme dopo tanto tempo. Abbiamo girato per la Boca, quartiere d’immigrazione italiana, e di street art ne abbiamo trovata un bel po’. Allontanandoci dalle strade più battute per caso siamo finite a casa di Margarita, donna super attiva che ha da poco messo su una residenza per artisti, Caffarena 86, proprio di fronte il vecchio gasometro (ora sede di mostre permanenti e temporanee). Margarita fa l’insegnante d’arte ma pensa che l’arte nei musei sia noiosa, si diverte di più con la street art! come darle torto…

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Diario di viaggio #2 La città implicita

Per tornare a raccontare dei miei giorni brasiliani mi concedo e vi propongo questo gioco, forse un po’ nostalgico, ma così è. Tutto parte da una citazione tratta da “Le città invisibili” di Calvino. “Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. per distinguere le qualità delle altre devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia.” L’ho ritrovata leggendo l’introduzione di “City of walls”. L’autrice, l’antropologa Teresa Caldeira,  la usa per spiegare l’attitudine con la quale ha affrontato il suo lavoro di ricerca su crimine e segregazione spaziale a San Paolo. Mi ci sono ritrovata molto, perché gironzolando qua e la, per caso o per lavoro, mi sono ritrovata di fronte a dei luoghi che inevitabilmente mi hanno ricordato la “mia città implicita”, Palermo. Alcuni per somiglianza, altri per differenza. Si tratta di luoghi a cui per motivi diversi sono particolarmente affezionata. Ve ne propongo qualcuno con cui ho trovato analogie. Se vi va, prima di scorrere velocemente la pagina, provate ad indovinare di che posto si tratta (e aiutatemi a capire se c’è effettivamente una somiglianza o semplicemente sono lontana da casa da troppo tempo).  Ecco il primo. come ponte dell'ammiraglio Si tratta del Ponte de Piedra, situato su uno spiazzo verde che prende il nome di Parco dos Açorianos, giusto di fronte al palazzo in cui abito. Quando l’ho visto ho pensato subito al Ponte dell’Ammiraglio. Entrambi, anche se in periodi storici diversi, costituivano il punto d’accesso al cuore pulsante della città. Adesso che hanno perso la loro funzione sembrano inseriti un po’ a casaccio nel paesaggio urbano, circondati da pezzetti di verde poco curati che a stento si possono riconoscere come piazze. Mi affascinano proprio perché nonostante il loro aspetto dimesso sono timidi ricordi di periodi storici di maggiore fasto. Passiamo al secondo.

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ipanema come mondello

Si tratta di un quartiere, Ipanema. Ipanema è situato lungo una delle parti più belle della laguna di Porto Alegre. Lungo la strada che la costeggia da una parte c’è il lago, dall’altra una schiera di villette appartenenti a residenti di classe medio-alta. Il largo marciapiede a monte della spiaggia nel fine settimana diventa il passeggio non solo dei ricchi borghesi ma anche e soprattutto delle classi più popolari. Oltre alle vasche da un capo all’altro del viale, è usanza consolidata da parte dei “portoallegrensi” godersi il tramonto sulla spiaggia, armati di siede a sdraio, cibare varie e mate da sorseggiare. Insomma Ipanema è un po’ la Mondello di Porto Alegre. Il terzo posto l’ho incontrato invece durante la recente trasferta a Curitiba.

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Praça do bolso do Ciclista, uno dei primi posti che ho conosciuto in questa città. La piazza era prima terreno brullo appartenente al comune. Un gruppo di cicloattivisti (che ha messo su una ciclofficina proprio lì di fronte) ha deciso un giorno di prendersene cura. Col sostegno del comune hanno così sistemato la pavimentazione e installato delle rastrelliere per le bici. Alcuni artisti di strada hanno poi lavorato sui 2 muri che delimitano la piazza, rendendola ancora più bella. La piazza adesso ospita banchetti di quartiere e altre piccole iniziative. Che cosa sarebbe diventata piazza Mediterraneo a Ballarò con un po’ di sostegno in più da parte del Comune di Palermo? In quest’ultimo caso la somiglianza è stata comprovata. Quando ho mostrato ai ragazzi della Bicicletaria Cultural le foto di piazza Mediterraneo sono rimasti stupiti dalle somiglianze nell’aspetto e nelle pratiche di riqualificazione.