Negli ultimi giorni a partire dal progetto “Big city life” avviato a Tor Marancia (Roma,) si è parlato tanto di riqualificazione urbana e street art, o meglio di come la street art possa contribuire a migliorare le condizioni di vita in aree periferiche. In particolare, a visioni entusiastiche si sono contrapposte le critiche di chi vede in questi interventi una strategia di marketing adottata dalle amministrazioni per fare finta di risolvere il problema. Per noi di Sguardi urbani quello delle periferie è un tema importante, sia per le attività di ricerca che abbiamo svolto su di esse, sia per le persone e progetti che abbiamo seguito ultimamente (date un’occhiata ai post precedenti). Sentiamo quindi di dare il nostro contributo a questo acceso dibattito. Andiamo per ordine.
1. Cosa intendiamo per periferia?
Periferia non vuol dire necessariamente “lontano dal centro”. Le aree periferiche possiamo trovarle anche in pieno centro città, basti pensare a Ballarò a Palermo, San Cristoforo a Catania o i quartieri Spagnoli a Napoli. Periferie sono piuttosto luoghi esclusi dai normali processi di sviluppo e di vita che investono il resto della città. Luoghi chiusi che si caratterizzano per dinamiche a sé stanti. Spesso costituiscono delle realtà estremamente complesse dove la marginalità è data dall’intreccio di dinamiche di tipo diverso (economico, sociale, infrastrutturale, politico) per cui è impossibile capire cosa determini cosa e quale sia la causa primaria di questo disagio. Tali caratteristiche hanno a nostro parere due principali implicazioni dal punto di vista di chi si avvicina ad una periferia: la prima è che per portare avanti un qualsiasi tipo di intervento bisogna conoscerla in maniera approfondita, la seconda (senza cui la prima non può verificarsi) è la possibilità di avere accesso a queste realtà. Dai racconti di operatori sul territorio, ma anche da esperienze fatte direttamente risulta chiaro come queste aree siano segnate da un complesso sistema di soglie e limiti, fisici e simbolici, per varcare i quali è indispensabile creare una relazione di fiducia. È per questo che le periferie vanno conosciute “dal di dentro”.
2. Come si riqualifica una periferia?
Bella domanda. Magari ci fosse una ricetta unica. Le periferie sono spesso caratterizzate da dinamiche che durano da così tanto tempo da essersi incancrenite e cronicizzate, al punto da impedire l’avvio di percorsi virtuosi di sviluppo. Risorse e processi di questi luoghi sono in qualche modo “bloccati”. Per questo le periferie sono spazi in cui le politiche (non la politica!) fanno fatica a intervenire e ad apportare una qualche forma di cambiamento.
In generale, le possibilità di risposta al problema della riqualificazione possono essere comunque variegate. Ad esempio il miglioramento delle condizioni abitative delle persone. Ma prendiamo il caso dello Zen 2: anche ammessa la perfetta manutenzione degli stabili risulterebbe comunque difficile pensare come gradevole l’esperienza di vivere all’interno di cubi di cemento assolutamente privi di relazione con l’esterno e per di più confinati in una sorta di ghetto circondato da grandi stradoni. Sembrerebbe forse più plausibile l’ipotesi di ricostruire il quartiere per intero. Oppure prendiamo Librino, dove il cattivo stato si manutenzione degli edifici è in qualche modo “voluto”. Nei palazzi delle zone “più calde” sono stati gli stessi residenti a togliere citofoni e ascensori, per rendere il più difficile possibile l’accesso ad estranei e continuare a portare avanti indisturbati le proprie attività (illegali). Sono esagerazioni ovviamente, che servono però a rendere l’idea della necessità di guardare ad ogni quartiere nella sua specificità e di intervenire guardando a più dimensioni contemporaneamente. Soprattutto guardando cosa succede quando sia in maniera spontanea che guidata dall’alto irrompono elementi di novità (progetti/mobilitazioni/interventi): che processi si attivano?e come interagiscono con gli abitanti e il territorio in generale?
3. E la street art?
La street art come qualsiasi altra forma d’intervento, va anche questa vista da vicino, nei processi che attiva e nelle relazioni che intesse con gli abitanti, le risorse e i problemi di un determinato quartiere. Dal nostro punto di vista può costituire uno strumento potentissimo. Nell’esprimere questo giudizio intendiamo rimanere fuori dal dibattito che oppone l’arte urbana (spesso commissionata) alla street art vera e propria. Più che le questioni etiche e di principio che possono muovere una forma di arte piuttosto che un’altra, ci interessano qua gli effetti che pratiche artistiche di diverso tipo possono avere su questi territori “difficili”. Pensiamo ai numerosi casi di gentrificazione che hanno riguardato le aree periferiche di alcune città dove consistenti interventi di street art (mi vengono in mente Valparaiso o Berlino, arte commissionata nel primo caso, spontanea nel secondo) ne hanno cambiato completamente il volto. In molti di questi casi gli effetti, almeno dal punto di vista di chi abitava originariamente questi luoghi, sono stati negativi a causa dell’innalzarsi improvviso dei prezzi degli affitti e del costo della vita. Ma resta comunque affascinante il potenziale di cambiamento di azioni artistiche che in apparenza effimere, se paragonate a grandi interventi di tipo più tradizionale (riguardanti le infrastrutture ad esempio) dimostrano un potenziale di trasformazione molto maggiore. Importante sarebbe a questo punto chiedersi se e come è possibile gestire questi processi di cambiamento in modo tale da andare a tutto vantaggio dei residenti.
Altro caso è quello di interventi artistici che riescono ad incidere su aspetti di tipo sociale più che su dinamiche economiche. Allargando un attimo il campo ci sembra interessante il caso della Porta della Bellezza a Librino. Un’esperienza, che per quanto al momento terminata (a scapito della possibilità di protrarne i benefici nel tempo) è però citata positivamente da moltissimi degli attori sul territorio come progetto meritevole per essere riuscito a rafforzare il senso d’identità e di appartenenza al quartiere di molti dei ragazzini coinvolti, nonché la capacità di collaborazione tra istituzioni e associazioni. L’idea di usare l’arte come forma di comunicazione e relazione con gli abitanti è dunque uno degli aspetti che ci sembra più interessanti quando parliamo di periferie e street art. In questo caso sono la capacità di riflessione critica e il coinvolgimento gli obiettivi realisticamente più raggiungibili. Almeno questa è la scommessa che si sta portando avanti con i laboratori di street art avviati coi bambini e gli adolescenti allo Zen 2.
C’è infine un ultimo aspetto particolarmente importante a proposito del rapporto tra street art e riqualificazione delle periferie. Ed è forse quello che come Sguardi urbani ci coinvolge di più: la street art come forma di osservazione e conoscenza di un territorio. Laddove praticata in maniera del tutto informale, fare street art permette di accedere a realtà che difficilmente potrebbero essere avvicinate. Pur essendo “straniero” (primo problema da superare per chi si avvicina ad una periferia) “pittare” in un quartiere ti permette di entrare facilmente in relazione coi luoghi e le persone, conoscerne le storie e i desideri. Un po’ come raccontano (molto meglio di noi) Cyop&Kaf nel loro ultimo libro “Taranto. Un anno in città vecchia”:
“…L’attivazione ovvio, ma insieme all’osservazione: primo passo da compiere, quello che dà la gioia del mettersi in cammino e la consapevolezza dell’inciampo dietro l’angolo. Ora, un’inchiesta può avere le più svariate forme: narrativa, fotografica, può essere filmata. Il mio approccio è certo pittorico (ma qui troverete anche della storia orale, altrove appunti filmici) ma in contemporanea fisico, di prossimità. Quante volte è capitato che i più piccoli mi portassero per mano a scoprire nuovi possibili luoghi da dipingere? Quante storie mi vengono riversate addosso mentre sono intento a mutare pelle a un vicolo buio?” (per la versione integrale qui)
Approfitteremo della loro presenza a breve qui a Palermo per discutere di questo e di molte altre cose.